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Aspetta il tuo turno

bollino scuola

Il primo giorno di scuola a casa nostra è durato mezzo secolo, ma siamo ancora tutti vivi: ho fatto l’appello.

Svegliata nel cuore della notte da un incubo terribile – all’uscita da scuola mi davano un bimbo sbagliato perché mi ero dimenticata di etichettarlo con nome e cognome –, mi sono fatta prendere dall’emozione, ho sbrandato prima il mio compagno di letto e poi i fanciulli in ordine alfabetico, li ho edotti sulla convenienza di una colazione sana, mentre si passavano il filo interdentale (ognuno il suo) abbiamo ripassato insieme le 25mila regole per un accesso fluido e ordinato nell’edificio scolastico , ho messo sulla fronte di ciascuno un post-it indicante luogo e ora di ingresso e ci siamo precipitati giù dalle scale urlando “Che bello! Finalmente ricomincia la scuola!”

Waze alla mano e dotati di mascherine, mascherine di scorta, porta mascherina, porta porta mascherina, abbiamo aggirato il camion della spazzatura, il passaggio a livello, il Seveso, le orde di genitori-nonni-tate in preda al delirio arrampicati sulla cancellata per fotografare filmare spammare i loro cuccioli in grembiule bello stirato e sorriso smagliante, i controlli delle bidelle, il termoscanner, le frecce, i bollini, le sirene, i segnali in codice delle maestre, le autocertificazioni, le deleghe, le fototessere, le fotocopie dei documenti dei congiunti fino all’ottavo grado, l’esame del DNA, i libretti vaccinali, la fedina penale, le promesse battesimali e il diploma di maturità e ci siamo infilati zitti zitti in classe dei nostri figli. All’ultimo banco. Il primo giorno dei nostri ragazzi non volevamo perdercelo per nulla al mondo.

No. A parte l’incubo etichette e l’età pensionabile, non è andata proprio così.

Ieri sera, con un ritardo di anni luce rispetto a qualunque genitore standard, abbiamo realizzato che era matematicamente impossibile accompagnare 5 figli in 3 scuole diverse, rigorosamente senza fratelli al seguito, in collocazione sparsa e con lo zainetto giusto, alle 8.15-8.30-8.45-9-9.30. Giurando mano sul cuore fedeltà alla circolare 13, a ogni ingresso.

Matematicamente lo dico solo perché mio marito ci ha provato a intortarmi con uno dei suoi benedetti grafici a torta, ma non c’abbiamo più il fisico per il teletrasporto, quindi è inutile fare gli sgargianti. Era più probabile che nel tragitto fra una scuola e l’altra a qualcuno venisse la varicella.

Perciò li abbiamo recapitati a scuola come abbiamo potuto, con un margine di ritardo non esecrabile, e spendendo anche qualche lacrimuccia come si conviene a dei bravi genitori. Foto le faremo al secondo giorno, con il grembiule di scorta. Ce ne siamo rimasti davvero a un metro di distanza e abbiamo aspettato il nostro turno.

Però la sera è stato divertente vederli finalmente tornare a casa come non facevano da svariati mesi, guardarli litigare per chi doveva raccontare per primo e sentire storie assolutamente bizzarre, probabilmente ricordi di vite precedenti, con parole appena imparate, e barzellette che già negli anni 80 non facevano ridere. Andare a letto tardi anche se domani si va a scuola perché se non te lo racconto adesso domani me lo scordo e allora facciamo finta che è ancora estate. E sai che alla fine non ho pianto nemmeno un po’ e che sono troppo emozionato di tornare a scuola anche domani e dopodomani.

E poi arriverà domani e dopodomani e sarà di nuovo “Cosa hai fatto oggi a scuola?”, “Niente”. Ma sarà bello anche così. E se oggi li avessimo spiati dall’ultimo banco, tutto questo ce lo saremmo persi.

* In compenso la mamma si è fatta una mezza giornata di inserimento al nido del più piccolo: mezza giornata spesa a guardarlo sgambettare, mangiare, dormire, ciucciare giochi e miagolare. Si sarebbe anche commossa se non fosse stato per la poltrona accanto al lettino del pargolo, su cui ha fatto l’imperdonabile errore di appisolarsi. Non prima però di aver letto una simpatica storia di ladri e di biciclette e di come aggirare un patto di corresponsabilità nel 1929, e aver pensato “Mannaggia, averci pensato prima!”.

Da Giovannino Guareschi, La scoperta di Milano, cap. II. (Ma vale la pena leggerlo tutto…)

Il signor Luigi, ogni mattina che non sia festiva, alle otto e quaranta è pronto davanti al cancello e, con un certo suo fi­schietto, mi chiama a raccolta.
E ora di partire: inforco la bicicletta davanti al signor Luigi. Il signor Luigi verifica che tutto sia in ordine, controlla la pres­sione delle gomme, l’efficienza dei freni e del campanello, poi fa scattare il lucchetto e io mi sento profondamente triste.
E non perché il lucchetto sia grosso, anzi è di piacevole formato e non ingombrante, ma per il fatto che il lucchetto, quando scatta, imprigiona gli anelli terminali di una catenella d’acciaio che – passando fra le molle del sellino con la parte in­feriore – si inserisce con la parte superiore in una speciale asola praticata nella cintura dei miei calzoni.
Il che vuol dire che io sono saldamente fissato al mio ve­locipede in modo da non potermene più staccare. Potrei age­volmente lacerare la stoffa dell’asola e liberarmi: ma come giu­stificare il fatto la sera? Posso saltar giù dalla bicicletta, sì, ma soltanto in caso di effettivo pericolo: devo poi presentare una relazione con testimoni oculari o qualche visibile danno alla persona. Il signor Luigi, dunque, mi incatena alla bicicletta e io parto: il tempo a mia disposizione è tale che io posso arrivare a scuola pedalando con prudente speditezza: in caso di pioggia detto tempo viene opportunamente aumentato. In caso di vento fa­vorevole, diminuito.
Debbo quindi arrivare a scuola senza fermarmi un istante. Arrivato davanti all’edificio del liceo, interviene il bidello, il quale, in possesso di una seconda chiave del lucchetto, mi disin­nesta dalla bicicletta e mi costringe a entrare immediatamente nell’aula.
Il signor Luigi non ha fiducia in suo figlio: questa triste storia del lucchetto ne è la prova evidente. Ed è la storia che dura ora­mai da un anno scolastico: perché il signor Luigi si è fissato che io debba abbandonare questo liceo al quale sono tanto affezio­nato. Secondo il signor Luigi nove anni sono più che sufficienti per eseguire con successo i corsi delle tre classi liceali.

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