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Di corse e di mamme

Mattinata cominciata in salita. 
Caldo già alle 6.30, almeno 4 piedi in più nel lettone dalle 5. Marito che comunque ne occupa 2/3. Figlioli da distribuire entro le 8 in più parti dell’emisfero abitato, equipaggiati di costume, crema solare, antizanzare e sandaletti sui piedi giusti. Follow up neurologico in zona ZTL, treno sovraffollato, mignolini pestati e insulti multietnici. Gli stessi che qualche ora prima ho dispensato al marito col naso affogato nel latte e cereali incurante delle mie corse e delle mie paturnie.

Visita fatta, di nuovo in corsa verso casa, che quel permesso per visita medica vale quanto un bollino Esselunga ritrovato in una tasca. 
Ho solo due minuti per afferrare al volo il prossimo treno. Faccio per attraversare sulle strisce pregando che il passeggino non si incastri tra il pavé e le rotaie nell’incuranza della Milano bene, quando piovono altri insulti. 

Questa volta un fighetto pinguinato reduce da spritz mattutino in sella a una moto che pure lei c’avrà la cabina di famiglia al solito lido sia mai si scottasse, che se la prende a male parole con una signora handicappata in sella a una carrozzina ingombrante come un treno merci. Pure lei incastrata tra pavé e rotaie in mezzo a un incrocio di folla anonima e scorbutica. 
Se non dovessi scappare a prendere il treno, milanese imbruttito, mi fermerei non dico a farti uno dei miei pippotti che ritieniti uno sfigato per i prossimi 7 anni altro che gatto nero, ma almeno a lanciarti una delle mie occhiatacce mortifere da poveretta tua madre che ha speso tanti soldi per farti studiare in Bocconi e pace all’anima sua ora si ritrova un figliolo motociclista che insulta una disabile sulle strisce. 

Per fortuna, mentre il mio angelo custode mi ricorda che c’è un treno da prendere e mille altre cose in elenco da qui a stasera, e soprattutto che non sono Robin Hood in calzamaglia e nemmeno il suo cugino metropolitano Green Arrow, interviene una sciura milanese che sicuro come l’oro sta andando a rifare le unghie alla gatta perché cos’altro ci fai alle 10.38 in pieno centro invece di lavorare come tutti gli altri che corrono pure sulle scale mobili? e allora penso: ecco brava pensaci tu che io non ne so abbastanza di parolacce in dialetto e sono una poveretta con i talloni screpolati che non ho ancora capito come faceva  Donna Paulsen di Suits a lavorare 20 ore e a piazzarci pure l’estetista di notte, visto che poteva tranquillamente aprire in pigiama al suo amico rimorchione e dispensare saggi consigli con un calice in mano. Sogno americano.

Ecco, cosa fa la mia sciura milanese con la gatta nel carrellino prima di tornare a innaffiare i suoi geranei sull’attico vista Brera? Intanto, impalata anche lei in mezzo all’incrocio si guadagna tutta la mia invidia muovendosi leggiadra sulle punte tra rotaie e pavé. Poi eccola che attacca con il pippotto che avrei dovuto fare io se non fossi sempre di corsa, anche se da lontano non percepisco insulti. Anzi, a guardarla meglio quella scena, mentre impreco contro il tasto dell’ascensore che non ne vuol sapere, mi pare di riconoscere il sapore di una mano tesa e di un sorriso rassicurante. Una premura tutta materna che dispensa cerotti e non sgridate al bambino già mezzo tramortito dallo spavento.
Raggiunto il marciapiede, di nuovo torna indietro sulle punte, al centro dell’incrocio, dove lui non accenna a schiodarsi. “Tutto ok?” Gli dice come a scuoterlo dal torpore che l’ha preso. E se potesse gli allungherebbe un buffetto. “Te la senti di ripartire?” E allora tutto davvero riparte con la frenesia di sempre.

L’ascensore si chiude alle spalle la mia curiosità.
Ripenso alla mia fretta. A quelle sale d’attesa forzate che non mi sono goduta, a quel figlio strappato e restituito per cui dovrei essere grata, a tutti i baci mancati sulla porta, alle preghiere lasciate a metà.
Alla signora che forse, lucidando le foglie ai geranei e parlando con la gatta, faceva spazio nel cuore e imparava a rallentare sulle strisce, più madre di me.
Alle mamme arrabbiate, deluse e stanche, cariche di sensi di colpa e di giudizi frettolosi come i miei. Alle mamme col cuore stritolato da chissà quale raptus. Alle mamme lasciate sole contro tutti. Alle mamme che devono fare scelte difficili. Alle mamme che sbagliano sempre, ma almeno una volta nella vita hanno dato la vita. Alle mamme che vorrebbero solo essere figlie.

Mezz’ora dopo me la ritrovo sullo stesso vagone con la sua gatta. Mi sorride.
Anche lei ha perso il treno.

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