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Mi ascolti?

Il GGG è tornato da una settimana di campeggio in montagna. Mentre si fa largo tra quei cinquanta ragazzini sudati e chiassosi alla ricerca di zaino e sacco a pelo, mi pare ancora più minuscolo il mio GGG. Solo adesso mi accorgo di quanto ci è mancato a tutti in casa, mentre gli spettino i capelli e vedo le labbra screpolate dal sole. Gli hanno insegnato a mettere il gel tra i capelli, i ragazzi più grandi, ma nessuno gli ha prestato un burro cacao. Hai su le mutande di lunedì? dico per arginare la commozione ormai fuori controllo dopo dieci anni di ormoni stressati. Ci rimane male ma abbozza una smorfia.

È un fiume in piena di Lo sai mamma? Capisci mamma? Non hai idea mamma! Mi ascolti mamma? mentre salutiamo il don, gli animatori, vecchi e nuovi amici, carichiamo tutto in auto, facciamo sosta al supermercato per le 2-3 cose che poi diventano 20-30 capricci, leghiamo e sleghiamo e rileghiamo 2-3 fratelli al seguito, cerchiamo disperatamente un ciuccio e poi la monetina del carrello, rispondiamo a un wa della zia, calcoliamo il fuso orario in Canada, incrociamo un vicino di casa, accettiamo un invito a cena e rientriamo al super così gli portiamo un’anguria, ma quella senza semi se no fanno storie, e poi Guarda il cane! Come fa il cane? Mamma ho sete! Siamo quasi a casa tesoro, un attimo di pazienza, Mi mandi il codice dei ticket che ho perso la tessera?

– Un attimo! Dicevi, scusa?
– Mamma, abbassi la radio per favore?
– Sì, scusami amore, ti stavo ascoltando.
– Ok. Ma questa cosa ve la racconto dopo quando c’è anche papà, perché è la cosa più bella del campeggio.
Abbasso la radio, mando un vocale al papà. “Il GGG deve raccontarci una cosa. Fatti trovare!”

Quel sabato pomeriggio ho imparato una cosa dal GGG.
La sapevo, sì, ma solo in teoria. Che i bambini (anzi che tutti, tutti quanti, anche se ci vergogniamo a dirlo) hanno bisogno di essere non solo accuditi, lavati, vestiti, sfamati, coccolati, sorretti, curati, ma anche ascoltati. All’inizio è più facile. Il pianto dei neonati ti strappa dal sonno, la loro fame è repentina e non ammette ritardi. Un cambio pannolino, se ignorato, può vendicarsi drasticamente. Ad ogni risposta il bambino si fa più sicuro di sè, più dritto, più grande. Poi in qualche modo ci si autoconsola, si impara ad aspettare, ci si mette a dieta, ci si adatta persino all’incuria e all’amore non corrisposto. Ci si illude di non dipendere da.

Chi non si arrende al vuoto intorno, però, sprigiona forme d’arte che lasciano tracce di sé: pagine di diario, schizzi di colore, filastrocche in rima, torri di sassi, una canzone, un film, una ricetta inventata, un filo di rossetto, un post, una foto, un tatuaggio. Strategie di sopravvivenza per dire al mondo: Ci sono anch’io, datemi retta!

Non mi convincono – lo dico un’altra volta perché sono noiosa – certe lamentele di noi vecchi sui giovani col naso sempre incollato al cellulare. Certe statistiche sui giovani impantanati nei social e ormai sganciati dalla realtà. Certe visioni apocalittiche di giovani fragili alla mercé di un like. Se ci stessero semplicemente chiedendo di abbassare il volume?

Piccolo proposito per quelli di casa mia:
Facciamoci trovare. Sediamoci ad ascoltare. Rimandiamo tutto il resto.
Sarà questione di anni, di mesi, di giorni e ci sfuggiranno sotto il naso. Cercheranno spazio altrove.    

Se nel mondo non ci fosse almeno Uno che ci ascolta, saremmo una storia senza capo né coda.

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