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Papaveri e quadrifogli

Qualche giorno fa la preado è tornata a casa con questo pensierino.
Dalle tue maestre – diceva più o meno la letterina allegata – perché tu da oggi sia luce.
Per questo weekend non ci hanno dato nemmeno i compiti, mamma, perché eravamo in tanti a fare la Prima Comunione!

Non le maestre di catechismo, eh, quelle della scuola davanti alla stazione.
Quella con la bandiera italiana rattoppata accanto alla smagliante sorella arcobaleno, quella con i bagni senza carta igienica, i caloriferi che ogni Natale vanno in blocco e l’impronta sporca del crocifisso muto in un cassetto. Quella dove bisogna fare scorte di gentilezza per non offendere nessuno, perché tutti siamo diversi e nessuno è uguale, ma dipende. Quella lì insomma.
Dove Yassin non può mangiare le caramelle con la gelatina animale e Gahmal resta in classe durante il Ramadan, dove Yulia trema al suono di una sirena e Salah nell’acqua salata non ci vuol mettere piede. 
Anche a loro le maestre hanno fatto un pensierino, perché anche loro saranno luce nel mondo. Al posto del Tau un quadrifoglio portafortuna, che è un altro volto di Chi ti ama, e lo stesso invito a sperare.

Quando succedono queste cose io mi commuovo.
Perché se in serra trovi le fragole a dicembre e a maggio nelle aiuole i tulipani tu nemmeno ci fai caso, ma quale vento o quale pazzo semina a piene mani stormi di papaveri rossi a bordo strada?

Lo ammetto. Ci domandiamo spesso, e con un filo di apprensione, a quali mani affidiamo i nostri piccoli e non più piccoli. Ce lo chiediamo, se saranno altrettanto accuditi, amati e protetti, quando li lasciamo oltre la porta con un bacio. E di quanti centimetri cresceranno in quelle 8 ore e passa lontano dai nostri occhi. E se fuori casa in qualche modo si sentiranno a casa. E se non sarebbe meglio che anche lì ci fossero i nostri occhi e le nostre mani e le nostre impronte e le nostre dritte. Che almeno si parlasse la stessa lingua.

Ecco, quando succedono cose così, io tiro il fiato e lascio andare.
Perché crescono fiori che io non ho seminato, proprio lì dove non avrei piantato.
E allora me ne rimango tenacemente in mezzo al mondo, che è una Babele un porto di mare un guazzabuglio di umanità e di promesse, che è così dannatamente bello e vario e imprevisto.
E cammino a piedi scalzi anche se so che farà un po’ male.

Con l’augurio per tutti noi di essere luce, proprio lì dove stiamo.

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