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Benedetto il mio ieri che non è più mio

A volte ci guardiamo di sottecchi, io e papà, di nascosto dalla preado.
Dici che ci siamo?
Manca poco, eh?

Certe incursioni nel mio armadio, mica tanto per gioco.
Certe porte sbattute in faccia.
Certi pianti così all’improvviso.
Dopo 5 settimane di oratorio feriale quel PRE è rosicchiato fino all’osso e noi non siamo minimamente pronti allo strappo.

“Questi vestiti non mi vanno più, – dico a quel brav’uomo, come se potesse capire – li terrò per quando cresce la preado.” 
Sarebbe un peccato buttarli. Li ho comprati prima di loro, – calcolo tra me e me, cercando di ripescare da un remoto limbo un’altra me più leggera sul bordo del domani – ma poi tra gravidanze e allattamento sono rimasti intonsi nell’armadio. E ormai non ho più l’età. (La tenera preado conferma: “Sembri nata nel secolo scorso”.)
Adesso il (loro) tempo preme spinge stringe, e un po’ il magone mi viene. Sento che ho ancora tanto da dire, tanti progetti messi da parte, tante cose lasciate a metà. C’è chi alla mia età si rimette a studiare, se ne va in giro per il mondo, ricomincia a ballare. Si riprende il suo tempo.
Io dipendo ancora.

Negli ultimi dieci anni ho preso la forma che hanno voluto darmi loro, ripenso. Mi hanno stiracchiata, slabbrata, spolpata i miei figli. Mi hanno imposto dei limiti, mi hanno definito, mi hanno detto chi ero. Le mamme al parchetto sanno i loro nomi, non il mio. La pancia non tornerà mai come prima.

Ci sono stati momenti in cui ho provato un po’ di invidia, lo ammetto, per quei preado non miei al centro commerciale, sul lungomare, sul muretto, sulle altalene, fuori dai pub. Spensierati, acerbi, snodati, chiassosi, con la vita tutta davanti e quasi nulla dietro. In bilico su quel pre. Ancora tutto da giocare.
Io quel pre non me lo ricordo mica. Mentre i miei amici imparavano a limonare e a rollare le canne io me ne stavo chiusa in camera a leggere Dostoevskij. (Il che significa che certe domande imbarazzanti dovrete farle al papà.)

Eppure non tornerei indietro. A quando avevo tutta la vita davanti, e le porte erano ancora tutte aperte, e il mondo ancora tutto da scoprire. Ancora tutto nuovo, tutto da scegliere, tutto domani ci penso. E prendevo in giro i miei vecchi per i loro saggi consigli: tieniti aperte più strade, tentale tutte, mi raccomando sempre un piano B, non ti precludere altre opzioni, studia l’inglese, non troppo presto, mai dire mai. Claustrofobia della scelta.  

Ci saranno altri pre su cui stare in bilico. Altri inizi, altre vertigini, altri stupori, altri panorami mozzafiato.

Ma mi piace pensare che senza di voi oggi sarei puro caos informe, potenzialità inespressa, eterna irrisolta adolescenza. Avete messo argini ai miei talenti, incanalato le mie energie, smussato gli spigoli, scavato fiordi segreti, limato il superfluo, disegnato geografie sconosciute, creato cornici alla mia ispirazione, coni d’ombra alla mia luce. Mi avete costretta a sbocciare.

Mi guardo indietro solo un attimo, per bene-dire la vita che non sempre ho scelto.
La riscelgo adesso come cosa buona, calzata a pennello, su misura.
Benedetta vita che ci si chiude alle spalle senza ritorno.
Benedetti limiti che ci fanno riscoprire figli nei figli.

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