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Con le mani

Il giorno dopo le elezioni è un lunedì.
Faticoso come tutti i lunedì.
In ritardo come tutti i lunedì.
Zaini, borracce, sacche sport, sacchette nanna, sacchette merenda come tutti i lunedì.
In più un freddo pinguino che mi chiedo come faremo un altro mese senza termosifoni.

Eppure questo lunedì mi sembrano tutti più arrabbiati. I treni in ritardo, il caro bollette, il nazifascismo, le mascherine, i licei occupati, i muri imbrattati, la carta igienica finita, il mignolino incagliato. Oggi di più.  

Poi però, mentre saluto i grandi davanti a scuola, la mia amica col marito in carrozzina mi dice che a volte bastano due chiacchiere al mattino.
Uscendo dal nido vedo un papà già in call che si toglie le cuffie per dire alla bidella Buona giornata, Maria!
La mia pausa pranzo se ne va su un tappetone colorato dove una dottoressa in calzini applaude al mio piccolino e alle sue dieci dita che si infilano in un pezzo di plastica giallo pieno di buchi. Non sapevo che sapesse imboccare un orsetto. Figuriamoci soffiare baci.
Sulla metro vedo un sacco di gente con dieci dita capaci di stringere, legarsi le scarpe, soffiare baci. Scrosci di applausi, se solo sapessero.

Dopo scuola facciamo merenda al parco delle Caprette. Infiliamo chiacchiere tra mamme come l’uncinetto d’altri tempi, mentre i bimbi impastano tortine di fango e inseguono il gatto del don. Il vecchio signor M. trascina su una carriola pile di scatoloni pressati ben bene. Guardandolo penso che eliminando gli involucri potremmo caricare su un’ambulanza da campo molti più farmaci. In ambulanza è più facile superare il confine. Mando un wa al nostro amico della Croce Rossa, dice che si può fare, deve solo mettere insieme un po’ di mani. Dieci, venti, trenta dita tenaci.
Nei locali accanto al parchetto la Caritas sta allestendo un emporio della solidarietà: alimenti, vestiti, piccoli elettrodomestici, si fa quel che si può. Finché le gambe reggono, perché non siamo più dei giovanotti, sorride una vecchina con le mani piene di calli.

Io con le mie venti dita, piedi compresi, al lunedì ci faccio un sacco di cose. Mi lavo i denti, guido, scrivo mail, abbraccio, spingo l’altalena, asciugo nasi, butto la pasta. Non sempre con lo stupore grato di un miracolo. Certe volte, anzi, la sento proprio la rabbia che sale. Per quella macchia di sugo che non se ne va. Per quel difetto mio che mi fa penare. Per l’ennesimo strappo sui jeans. Per quel clacson appena scatta il verde. Per quel commento idiota in chat. Tempo zero reagisco. Se fossi il Signor No prenderei a morsi un tavolo.
Fortuna che in casa teniamo un papà-decanteur. Dopo 2-3 giorni ti piazza lì un Lascia stare ristretto come in asciugatrice.

Ecco perché in questo lunedì post elezioni (che a forza di decantare è un venerdì) ho solo voglia di ringraziare.
Per quell’altra gente che non ha tempo da perdere. Dietro ai meme, agli insulti, ai te l’avevo detto, agli slogan, ai malumori.
Per quell’altra gente che si rimbocca le maniche e ancora silenziosamente costruisce.     

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