Abbiamo davanti una luuuunga quarantena. Meglio non saperlo nemmeno quanto durerà, perché le variabili sono troppe e troppo lunatiche. Probabilmente finirà con l’inizio delle vacanze di Natale. Tempo di metter via l’albero e a casa nostra in genere arriva l’influenza stagionale.
Ci dev’essere dietro una pedagogia geniale, perché non ce la saremmo mai immaginata così, eppure sembra pensata su misura per noi.
Chiusi dentro casa, avevamo sentito da lontano le sirene, il dolore, la solitudine, la povertà, la rabbia, la fragilità di tutti. E poi il coraggio, la speranza, la voglia di ricominciare, le risate dei bimbi di nuovo per strada. Ci eravamo ripromessi di non lasciarci soli, di prenderci cura gli uni degli altri, di non darci mai per scontati. Perché siamo una famiglia.
Pensavamo di aver capito la lezione.
E invece adesso tocca a noi, in questo modo strano.
Non siamo così malati da doverci accudire.
Non abbiamo sintomi che attirino tenerezza.
Non ci manca il fiato e lo sprechiamo a litigare.
Non ci sfugge il tempo e ci annoiamo.
Non possiamo nemmeno isolarci e ci neghiamo una carezza.
Siamo sempre noi: cocciuti, ripetitivi, insopportabili, chiassosi, disordinati, egoisti, con i soliti difetti, solo un po’ più stanchi e nervosi. Costretti a stare insieme perché siamo una famiglia. A convivere in 100 metri quadri con le nostre fragilità per nulla simpatiche.
Siamo quelli rimandati a settembre, quelli della seconda chance.
È adesso il nostro tempo favorevole.
È adesso che possiamo imparare a volerci bene, così come siamo.