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L’ipocrisia del mondo piccolo

Ci stanno tartassando in questi giorni o le leggo solo io certe notizie?
Che non c’è più spazio che l’Italia è satura che ci manca l’aria quindi presto, chiudiamo i cancelli!
Che già 1 su 4 è povero, che pure le prigioni sono strapiene e le città non più sicure.

Non facciamo fatica a crederci, a questa menzogna claustrofobica.
Un tale commenta, sotto l’articolo sulla stretta alle Ong, che tutta l’Africa in Italia sarebbe peggio della spiaggia di Rimini all’ora di punta. Manco un ombrellone libero. Qualcuno può dirgli che, una volta sbarcati, a Rimini non ci vanno? Che in tanti nemmeno si fermano e vanno oltre? Che comunque Rimini all’ora di punta è sempre meglio di un gommone che affonda? O forse è preoccupato per il suo di ombrellone?
Davvero siamo così solleciti per la dignità di chi approda? Statevene a casa che qui non va tanto meglio, diciamo. (E tra le righe, ma nemmeno tanto: ecco quanto ci costate al giorno.) (Ci siamo dimenticati in fretta dei nostri nonni con le valigie.)

Perché sarebbe poco polite dire: non voglio vedere. La sete, la fame, la puzza, la pelle bruciata, i piedi stremati, il sale sulle ferite, i pidocchi, la scabbia, la nostalgia, la paura.
Ce la beviamo d’un fiato, questa menzogna claustrofobica che fa le fusa al nostro egoismo.

E con la stessa disinvoltura, aggiungiamo: lo facciamo per loro, eh.
Per gli anziani fragili, che altrimenti si ammalano.
Per i malati, che altrimenti soffrono.
Per i bambini, che ai ristoranti e sui voli e negli alberghi child free.
Per i diversi, che altrimenti si sentono diversi.

Non lo diciamo mica ad alta voce che le bolle sono più comode.
Non lo pensiamo mica (ma le bugie hanno le gambe corte) che un giorno ci piazzeranno a noi in qualche bolla protetta.
Che ci metteranno da parte per un parcheggio maldestro, per un passo incerto sulle strisce, per la parola che ci si inceppa sulla lingua, per quel difetto incorreggibile, per una e troppo chiusa. Che ci rimpiazzeranno con uno più veloce, più carino, più efficiente.  

Ci laviamo la coscienza coi diritti, le tutele e le garanzie. Per il loro bene, ci diciamo.
Mettiamo i calzini spaiati, ma poi ci teniamo strette le nostre anime gemelle.
Urliamoglielo in faccia a chi ci vuole non più liberi ma più soli:
Il mondo non è troppo piccolo, è nel nostro cuore che non c’è più spazio.
Qui sulla terra gli abbracci stringono, la pelle tira, i piedi crescono, i corpi fanno attrito per amarsi.

E mentre mi giro e rigiro tra pensieri che bruciano, un figlio mi strattona dal mio garbuglio: “Tocca mamma, tocca questo sasso!”
Benedetta famiglia, grande scuola di inclusività!
Dove all’ultimo minuto si aggiunge un posto a tavola.
Dove tra calzini sporchi e tazze sbeccate proliferano come fratelli virus e talenti.

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