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Guardati, sempre

Poco più di dieci anni fa, quando quel buon uomo ancor bruno e ancor tonico mi citofonò senza preavviso alle 4 del mattino con un anello nascosto in tasca e ci riempimmo gli occhi e le scarpe di Parigi fino al calar della sera e delle forze perché non gli uscivano le parole, ci ritrovammo a un tratto a sostare mano nella mano davanti a questo sorriso. E davvero furono occhi negli occhi, perché quest’estate a Parigi ci siamo tornati, col cuore pieno di nostalgia, alla ricerca di quel sorriso sulle nostre mani dieci anni più vecchie e più strette.

Convinti che fosse a Notre-Dame quello sguardo, ci siamo intristiti non poco davanti al portale serrato della chiesa a brandelli, ripromettendoci che saremmo tornati a bussare tra altri dieci anni. E abbiamo tirato dritto strattonati da qualche capriccio.  

Poi, qualche giorno fa, mi sale in gola la curiosità di ritrovarlo da qualche parte quel sorriso, googlando i pochi indizi che ho trattenuto sottopelle. Scopro così che a Notre-Dame c’è sì una Madonna col Bambino, ma un’altra, non la nostra, sottratta alle fiamme e portata al sicuro, famosa per aver sorriso a un poveretto ben più illustre di noi. Era il diciottenne Claudel, che racconta così quel guizzo al cuore nella notte di Natale, ricordando il posto e l’ora.

Io ero in piedi tra la folla, vicino al secondo pilastro rispetto all’ingresso del Coro, a destra, dalla parte della Sacrestia… In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti… Improvvisamente ebbi il sentimento lacerante dell’innocenza, dell’eterna infanzia di Dio: una rivelazione ineffabile! 1

Altrove racconterà di quel suo anno zero come di un bambino abbandonatogli in grembo, tra braccia inesperte e impacciate.
Leggendo, mi torna in mente un’altra anima bambina incrociata sul cammino quest’estate, di cui avevo trascritto per tenerli a mente i versi posti accanto al giaciglio. Più che un letto di morte mi era parso allora, quel misero angolo di cella, la mangiatoia di Betlemme. Googlo ancora.

Va’ sicura, in pace, anima mia benedetta, perché hai buona scorta nel tuo viaggio! Infatti Colui che ti ha creata, ti ha resa santa e, sempre guardandoti come una madre il suo figlio piccolino, ti ha amata con tenero amore.2

Penso allora ai nostri viaggi, a tutte le volte in cui abbiamo cercato di tornare insieme a casa, alle scorte di nostalgia messe in valigia, alle porte che sappiamo sempre aperte. Alle briciole di Pollicino che saziano la fame e segnano la strada. E che tutta la vita, ogni ora del giorno e ogni giorno della settimana, è una Caccia al Tesoro in cui si riparte da zero. Seguendo briciole-indizi sparse a indicare il cammino, se solo ci si ferma a raccoglierle con un minuscolo inchino, senza tirare dritto. Aprire gli occhi e annusare il silenzio, l’aroma del caffè quando ancora tutto dorme, il lunedì, la campanella d’inizio a scuola, i primi passi, un quaderno bianco, le lenzuola pulite, chiedersi scusa. Sanno di speranza, bambina da nulla, persa nelle gonne delle sue sorelle. La sorella piccolina, venuta al mondo proprio il giorno di Natale.  

Per non amare il prossimo, bambina, bisognerebbe tapparsi gli occhi e gli orecchi.
A tante grida di desolazione…
Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce.
Me stesso.
Questo è stupefacente.
Che quei poveri figli vedano come vanno le cose
e che credano che andrà meglio domattina.
Che vedano come vanno le cose oggi
e che credano che andrà meglio domattina.
Questo è stupefacente ed è proprio la più grande meraviglia
della nostra grazia.
E io stesso ne sono stupito.
….
È lei, quella piccina, che trascina tutto.
Perché la Fede non vede che quello che è.
E lei vede quello che sarà.
La Carità non ama che quello che è.
E lei, lei ama quello che sarà.
Dio ci ha fatto speranza. Ha cominciato.
Ha sperato 3

C’era una volta.
Provo a ricordare il giorno in cui sono diventata grande. In cui ho smesso di pensare che bastava un bacio per guarire. Che la mamma a qualunque ora sarebbe arrivata. Che se avevo fame dovevo solo aprire il frigo. Che nulla di brutto poteva succedermi. Che le cose diventavano belle a dire “Guarda, papà, che bello!” Che i desideri non andavano mai sprecati.

Lo vedo sbirciando le letterine di Natale dei miei bambini. Non so se ancora ci credono, se lo fanno per i fratelli più piccoli, se invece stanno al gioco per noi grandi. Che sia Babbo Natale, Gesù Bambino o mamma e papà, a loro poco importa. Sanno di essere ascoltati. Esauditi, come quando e quanto poco importa. Si sanno sempre sotto quello sguardo, anche senza alzare il naso. Non devono ritornare o ricordare, perché sono ancora a casa.

Alla fine, quasi per caso, finalmente la trovo.

Si chiama Notre-Dame au Sourire, è un sorriso su pietra del XIII secolo, conservato in una cappella di Saint Germain des Près. È una delle nostre chiese preferite, e lì siamo entrati a ringraziare il giorno del nostro anniversario. Sul calare di un’afosa serata di luglio che esploderà nei fuochi d’artificio, sfatti, sudati, assetati, tra mille capricci. Di quella chiesa dopo dieci anni ci ricordiamo solo vecchie sedie scricchiolanti che i bimbi stremati trascinavano in giro per la navata sotto le occhiatacce burbere di un vecchio sagrestano. Eppure quel sorriso era lì, senza che noi lo sapessimo.
A dirci che il buon Dio non ci ama di meno nel sonno.

Se tardi a trovarmi, non scoraggiarti. Se non mi trovi in un posto, cercami in un altro. Da qualche parte mi sono fermato e ti attendo. 4

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