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Re-stare

Questo weekend dovevamo essere a Roma.
Non proprio dietro l’angolo, non proprio tutti i giorni.
(Non ce ne vogliano parenti e amici non allertati: lo avremmo fatto in loco, inventando incastri impossibili. Da un po’ di tempo ci asteniamo da promesse a lungo raggio, mettendo in conto l’ennesimo imprevisto e bronci annessi.)

Ferie prese, maestre avvertite, mister pure. Nonna in fibrillazione con frigo pieno zeppo e materassi buttati ovunque come fosse Natale. Ma sì, una gita fuori porta, che vuoi che sia. Eppure, a ripensarci, avevo tagliato le unghie e lavato le orecchie a tutti i figlioli. No, non avremmo fatto i compiti e no, non avremmo guardato le mail di lavoro. Irreperibili al mondo fuori di noi per 3 benedette giornate.
Un po’ all’ultimo, sfidando il malocchio, abbiamo buttato in valigia due cambi a testa senza toppe e strappi e magliette a maniche corte per festeggiare il sole ostinato delle ottobrate romane.

La valigia è ancora lì, chiusa e riaperta e richiusa e riaperta ecceteraeccetera.
Uno potrebbe dire: caspiterina, a sentir voi sembra che chiudere le valigie attiri sciagure. Ecco, non è che sembra. L’ultima volta ci sono finita contro al risveglio e mi sono rotta il mignolino. Ancora se lo ricorda poverino, tutto il giorno sui tacchi. Prima ancora ci sono stati: bronchiolite, febbre da fieno, quinta e sesta malattia gemellate, varicella, trauma cranico. Conte che annuncia il lockdown serrato 2020? Stavo chiudendo la valigia per andare a partorire.

Per amore di tradizione, giovedì sera, mentre chiudevamo le valigie lasciando uno spiraglio scaramantico per infilarci gli spazzolini al mattino, i figlioli hanno attaccato a vomitare. Ma una scena ridicola, davvero. Finiva uno, attaccava l’altro. Su e giù dai letti, staffette di asciugamani e bacinelle. Alla fine era un unico grande accampamento in corridoio con tanto di torce.   

Ultimamente mi capita spesso. Di vivere come in apnea. Di pensare: Tappati il naso, devi solo arrivare fino a venerdì sera, fino al prossimo ponte, fino alle vacanze di Natale. Pianto dei chiodi sul muro a mo’ di tacche e vi aggancio pezzetti di felicità. Ma poi, quando finalmente mi ci aggrappo, quelli vengono giù come grissini. Ho il brutto vizio di dettare latitudine e longitudine della felicità mia e degli altri. Di segnare le rotte senza consultare le stelle. Perciò sì, lo ammetto, mi sono arrabbiata eccome. Mi ero illusa che questa gita fuori porta tutti insieme piena di cose belle avrebbe sbloccato tante fatiche, rifiatato la stanchezza, illuminato gli anfratti, fatto di noi una cosa nuova. Mi serviva proprio un appiglio per ricominciare da capo… E invece, maledette valigie!

Mentre il weekend si trascina spossato tra lavatrici e fermenti lattici, mi rincuora un po’ il messaggio di una cara amica, che di valigie ne ha fatte e disfatte più di me. Quanti treni hanno perso anche loro, eppure non è mai stato tempo sprecato. Certi weekend bloccati in casa che ancora se li ricordano come speciali. Godetevi questo imprevisto, mi scrive, fatelo vostro. Mi ricorda un consiglio sentito più volte in sala parto, testona che sono a pensare di sputar fuori una creatura come fosse un cd: non schivare il dolore, assecondalo. Lasciati attraversare, mettiti a tiro, resta aperta.

Funziona ancora, se solo ci provo. Semplicemente stare dove sto.
Mamma, mi leggi una storia?
Mamma, devo ripeterti la cellula.
Mamma, mi firmi la verifica?
Mamma, mi fai le treccine?
Mamma, guarda! So fare la spaccata!
Mammaaaa, ma mi stai ascoltando?
E io sempre in corsa. Un attimo! Arrivo! Sempre altrove.

A quest’ora dovrei essere a Roma. I nostri amici ci mandano foto. Sento il cuore scartavetrato. Dovevamo essere lì. Se solo non avessimo chiuso le valigie…
Stare dove sto. Non dribblare.
Ci riprovo.

Noi siamo noi: litigiosi, lunatici, stanchi, impulsivi, tanti, troppi, pieni di irritanti difetti, contagiosi, lamentosi, annoiati, delusi, arrabbiati, egoisti, pigri, disordinati. Affamati nonostante tutto.
Ma se non schivo tutto questo, se mi faccio intercettare, se mi godo l’imprevisto come vento in faccia.
Qualcosa finalmente vedo.

C’è un uomo rannicchiato dentro una coperta che legge Topolino, e mi sale su una tenerezza nuova, che credevo arrugginita. Siamo ancora io e te capaci di cura? Invecchieremo tenendoci per mano e farà meno paura?
C’è una capanna di tovaglie e di cuscini tirata su fra le ante di un armadio: si sono portati dietro pennarelli e merendine in vista del lungo inverno.
C’è una mamma che si arrende alle coccole e scopre che la tenerezza, più di ogni viaggio, cura, snoda, rifiata.
C’è una bambina che a districarle i capelli si sbloccano le parole ed è tutto un losailosailosai manco avesse sette vite come i gatti.
Ci sono delle candeline da spegnere, ma facciamo finta che non è il mio compleanno mamma, perché mi vergogno. Ogni anno lo presta a un fratello.
C’è un nuovo cartello glitterato sulla porta – GIRLS – e dietro sorelle che si sono snobbate gnegne fino a ieri e oggi bisbigliano.
C’è che per una volta non siamo in ritardo.
C’è la canzone dell’alfabeto da imparare.
C’è l’algoritmo del tè da sperimentare.
C’è la pizza surgelata in frigo e pure le patatine.
C’è che potremmo comprare un coniglio, mamma, così il papà non dovrebbe più tagliare l’erba.

Non è vero che un posto vale l’altro.
Se sto altrove resto sola con le mie tacche.
Se resto dove Qualcuno da sempre mi ha pensato, Qualcuno mi farà compagnia.

Oggi, che tanto ormai siamo in ferie, attacchiamo con lavaggi nasali e aerosol.  Ah sì, devo anche sfare la valigia…
Buon lunedì!

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