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Sai che c’è? Io ti aspetto

C’erano una volta le passeggiate.
Più che passeggiate, erano migrazioni, trasbordi, operazioni militari, pellegrinaggi, corse a ostacoli, esercizi di pazienza.  A ripensarci ti viene pure il magone. Che cosa misteriosa l’essere umano.

Funzionava più o meno così.
30-40 minuti solo per:
– far indossare scarpe, giacca, sciarpa, cappello, guanti e mascherina, azzeccando più o meno le taglie
– riempire la borsa del passeggino come se andassi via per tre mesi (è matematicamente dimostrato che qualunque cosa lascerai a casa giudicandola inutile nel giro di mezz’ora ti risulterà vitale)
– bardare il neonato nel tutone, piazzarlo nell’ovetto senza farlo vomitare e/o svegliare
– agganciare l’ovetto sulle ruote e assicurare il fratello pigro sulla pedana (spesso recuperando questi elementi in posti impensabili che al precedente esodo avevi ritenuto ragionevoli)
– indossare tu scarpe, giacca, sciarpa, cappello, guanti e mascherina, oltre allo zainetto salva vita contenente CI, CF e notifiche ATS di tutti
– recuperare bici, pattini, monopattini, skate e altri piccoli aggeggi su ruote
– arrivare finalmente al cancello e accorgersi che a) hai dimenticato il ciuccio, o le borracce, o i cerotti, o le chiavi di casa… b) qualcuno nel frattempo ha il pannolino da cambiare c) è già ora di allattare
– tutto da capo

Una volta oltre il cancello, valeva la pena restar fuori fino al tramonto.
Però era bello eh. A ripensarci ti ricordi pure del sole in faccia.

Eccoli lì, che tenerezza.
Dopo 50 metri, quando ormai tutti si sono incamminati, ognuno alla sua velocità di crociera, e tu davvero ti sei convinta che il peggio sia passato, succede inesorabilmente che uno dei tuoi 6 adorabili deliziosi anatroccoli s’impunta. Troppo caldo, troppo freddo, il mignolino incagliato, gli allevamenti intensivi, il buco nell’ozono… e niente, non c’è verso di schiodarlo.
A quel punto hai 10 striminziti secondi per inquadrare la situazione. 2 li sprechi ogni volta nel ricordo di quella eccentrica signora che negli anni 80 i suoi 5 pargoli li portava a spasso con una specie di guinzaglio attaccato alle bretelle. Adesso capisci… troppo tardi. Te ne restano 8 per accendere l’opzione giusta senza rischiare troppe perdite.

– All’orizzonte, circa 80 km/h su strada urbana, pazzo scriteriato di 4 anni in fuga su monopattino, incurante di chiunque gli venga incontro e assolutamente ignaro del codice stradale.
– Più a portata di gambe, ragazzo dal cuore gentile sordo a qualunque ammonimento materno e tendenzialmente propenso a fidarsi di estranei col cappello.
– In una dimensione parallela, dentro vestiti sempre troppo corti (sarà l’asciugatrice?), adolescente arrabbiata fin dall’alba a cui devi dar ragione di qualunque imperativo.
– Contromano, in avvicinamento, postino che fischietta in bicicletta (ma vatti a fidare della gente perbene…)
– Sulla panchina a bordo pista, casalinghe pronte a spettegolare della nuova vicina, quella della casa gialla che ha fatto morire pure il basilico.
– A ore 11, cacca gigante.
– All’angolo, spacciatore travestito da venditore ambulante di tulipani.
– 50 metri a ENE, tredicenne senza mascherina con musica a palla.
– Poco oltre, gatto nero.

Alla fine – siccome così a spanne tu sei 1 e in netta minoranza – decidi di puntare sull’angelo custode più rodato, che in fondo ne ha già viste tante. A sancire questo tuo atto di affidamento, occhi rivolti al cielo e una giaculatoria immancabile ai danni del tuo adorabile delizioso anatroccolo impuntato:
“Sai che c’è? Arrangiati!”

Pronti via, molli neonato + tutone + ovetto + ruote + pedana + fratello pigro alla sorella adolescente, sperando che nel frattempo non avvisti un unicorno, rubi lo skate al ragazzo dal cuore gentile pregando che lo spacciatore all’angolo non abbia il cappello, e ti lanci all’inseguimento del pazzo scriteriato di 4 anni in fuga su monopattino che si sta per lanciare in mezzo alla strada dietro il gatto nero. Dribblando vicine chiacchierone, postino fischiettante e cacca gigante.

C’erano una volta, e ci sono ancora, le mie inchiodature.
Proprio quando ormai sono tutti sulla porta e siamo già in ritardo.
È una cosa minuscola fuori posto, un torto ingoiato di traverso, una parola non detta. Sassolini nelle scarpe e puntini sulle i. 
E niente, non c’è verso di schiodarmi.
Alla fine – siccome così a spanne tu sei 1 e la strada è più bella fatta in 2 – ti togli le scarpe e torni indietro.
“Sai che c’è? Io ti aspetto!”

Ed è sempre bello tornare a casa.

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